| | Il poeta romanesco Trilussa nell'ottobre 1914 prima che l'Italia entrasse in guerra, scrisse come al solito una poesia molto ironica sulle guerre, lasciando un sorriso e un po d'amaro in bocca. | | Ninna nanna, tu non senti li sospiri e li lamenti de la gente che se scanna per un matto che comanna; che se scanna e che s’ammazza a vantaggio della razza o a vantaggio d’una fede per un Dio che nun se vede, ma che serve da riparo ar Sovrano macellaro chè quer covo d’assassini che c’insanguina la terra è un gran giro de quattrini che prepara le risorse pe’ li ladri de le Borse. Fa’ la ninna, cocco bello, | finché dura ‘sto macello: fa la ninna, chè domani rivedremo li sovrani che se scambiano la stima boni amichi come prima. So’ cuggini e fra parenti nun se fanno complimenti: torneranno più cordiali li rapporti personali. E riuniti fra di loro senza l’ombra di un rimorso ce faranno un ber discorso su la Pace e sul Lavoro pe’ quer Popolo cojone risparmiato dar cannone! | | | L'Italia entrò in guerra e vi furono versi scritti molto amari, tra i quali quelli di Giuseppe Ungaretti, partito volontario, scrisse delle raccolte di poesie. | | | Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto il 1888. Si arruola volontario nella Grande Guerra e viene mandato a combattere sul Carso. La cruda realtà della guerra scosse l’animo d’Ungaretti avviandolo in un percorso di coscienza che trovò naturale sfogo nella sua produzione poetica. Così pubblica una raccolta di poesie nel 1916, “Il porto sepolto”, e nel 1919 “l’Allegria di naufragi”. Muore a Milano nel 1970. " L’esperienza umana della trincea, l’odore del sangue sparso in quello che rimaneva allo sguardo dei lacerati compagni che furono e non c'erano più ; risvegliarono in Ungaretti un senso profondo fatto di parole semplici che svelavano l'essenza dell'uomo attraverso la morte. Quelle parole scritte su dei pezzi di carta al fronte non cercavano rime, estetici virtuosismi o ermetismi; erano invece le parole della coscienza, erano poesia. Le poesie qui pubblicate sono sufficienti per considerare G.Ungaretti un grande poeta, perché le sue parole così semplici e vere seppero cogliere delle verità della condizione umana." (Gennaio 2015, C.Convertino) Diceva Giuseppe Ungaretti nel 1969 in un documento filmato “L’uomo nella guerra manifestava i suoi peggiori istinti anche se la guerra, anche se quella guerra, anche quando c’eravamo entrati, anche se l’avevamo voluta; ci sembrava che fosse l’ultima guerra, che fosse la guerra per liberare l’uomo dalla guerra. La guerra non libera mai l’uomo dalla guerra. La guerra è, e rimarrà sempre l’atto più bestiale dell’uomo” | | San Martino del Carso Di queste case Non è rimasto Che qualche Brandello di muro Di tanti Che mi corrispondevano Non è rimasto Neppure tanto Ma nel cuore Nessuna croce manca E’ il mio cuore Il paese più straziato *G.Ungaretti (27 agosto 1916) | | SOLDATI Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. * G.Ungaretti (1918) | DANNAZIONE Chiuso fra cose mortali anche il cielo stellato finirà Perché bramo Dio? * G.Ungaretti | MATTINA (titolo originario Cielo e Mare) M’illumino d’immenso. * G.Ungaretti (26 gennaio 1917) | C’ERA UNA VOLTA Bosco Cappuccio ha un declivio di velluto verde come una dolce poltrona Appisolarmi là solo in un caffè remoto con una luce fievole come questa di questa luna * G.Ungaretti (1 agosto 1916) | VEGLIA Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita * G.Ungaretti (23/12/1915) | FRATELLI Di che reggimento siete fratelli? Parola tremante nella notte foglia appena nata dell’aria spasimante involontaria rivolta dell’uomo presente alla sua fragilità fratelli. * G.Ungaretti (15 luglio 1916) | NON SEI CHE UNA CROCE Non sei che una croce Nessuno forse sa più perchè sei sepolto lassù nel camposanto sperduto sull'Alpe, soldato caduto. Nessuno sa più chi tu sia soldato di fanteria coperto di erbe e di terra, vestito del saio di guerra. l'elmetto sulle ventitré nessuno ricorda perché posata la vanga e il badile portando a tracolla il fucile salivi sull'Alpe,salivi cantavi e di piombo morivi ed altri morivano con te ed ora sei tutto di Dio. Il sole, la pioggia, l'oblio t'han tolto anche il nome d'un fronte non sei che una croce sul monte che dura nei turbini e tace custode di gloria e di pace. * R.Perseni | I FIUMI Mi tengo a quest’albero mutilato abbandonato in questa dolina che ha il languore di un circo prima e dopo lo spettacolo e guardo il passaggio quieto delle nuvole sulla luna Stamani mi sono disteso in un urna d’acqua e come una reliquia ho riposato L’Isonzo scorrendo mi levigava come un suo sasso Ho tirato su le mie quattr’ossa e me ne sono andato come un acrobata sull’acqua Mi sono accoccolato vicino ai miei panni sudici di guerra e come un beduino mi sono chinato a ricevere il sole | Questo è l’Isonzo e qui meglio mi sono riconosciuto una docile fibra dell’universo Il mio supplizio è quando non mi credo in armonia Ma quelle occulte mani che m’intridono mi regalano la rara felicità Ho ripassato le epoche della mia vita Questi sono i miei fiumi | Questo è il Serchio al quale hanno attinto duemil’anni forse di gente mia campagnola e mio padre e mia madre Questo è il Nilo che mi ha visto nascere e crescere e ardere d’inconsapevolezza nelle estese pianure Questa è la Senna e in quel suo torbido mi sono rimescolato e mi sono riconosciuto Questi sono i miei fiumi contati nell’Isonzo Questa è la mia nostalgia che in ognuno mi traspare ora ch’è notte che la mia vita mi pare una corolla di tenebre * G.Ungaretti (16 agosto 1916) | IMMAGINI DI GUERRA Assisto la notte violentata L'aria è crivellata come una trina dalle schioppettate degli uomini ritratti nelle trincee come le lumache nel loro guscio. Mi pare che un affannato nugolo di scalpellini batta il lastricato di pietra di lava delle mie strade e io l'ascolti non vedendo in dormiveglia. * G. Ungaretti (16 agosto 1916) | VIATICO O ferito giù nel valloncello, tanto invocasti se tre compagni interi cader per te che quasi più non eri, tra melma e sangue tronco senza gambe e il tuo lamento ancora, pietà di noi rimasti a rantolarci e non ha fine l'ora, affretta l'agonia, tu puoi finire e conforto ti sia nella demenza che non sa impazzire, mentre sosta il momento, il sonno sul cervello, lasciaci in silenzio Grazie, fratello. * Clemente Rebora (1916) | VANITÀ D'improvviso è alto sulle macerie il limpido stupore dell'immensità L'uomo s'è curvato sull'acqua sorpresa dal sole e si rinviene un'ombra cullata e piano franta in riflessi insanati tremanti di cielo * G.Ungaretti (1917) | PAG. A B | |